Mauro Maccario
I Balui a Vèntu de mei paire Pierin U Ferà du Soudan

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Per maggiori dettagli sul Santuario della Madonna del Carmine vedi qui

Il libretto fatto stampare da don Rossi, in occasione della costruzione della chiesa, si trova qui

Le foto del Santuario della Madonna del Carmine sono qui

 

Le mongolfiere di carta di mio padre Pierin U Ferà di Soldano

A Soldano, piccolo comune in provincia di Imperia, la ricorrenza della Madonna del Carmine è sempre stata una delle principali feste del paese. Non molto distante dal nucleo storico, in località Urià, immerso tra gli olivi si trova un piccolo Santuario dedicato alla Vergine Maria del Monte Carmelo.
In questa Chiesa, eretta nel 1885, il 16 luglio di ogni anno si ritrovano gli abitanti del luogo con parenti ed amici ed è una occasione per i Soldanesi sparsi in altre città di rivedersi.
Al termine del Vespro e della processione mio padre, Maccario Pietro (1907-1994), meglio conosciuto come Pierin U Ferà, faceva volare i Balui a Vèntu: tre mongolfiere di carta multicolore che si innalzavano nel cielo seguite dagli applausi della folla e dalle note della banda musicale.
Ogni anno, ricevuto l'incarico dal Priore del Santuario dé fâ veurà i balui a vèntu pé a fèsta da Madona(1), mio padre, nei primi giorni di luglio, sospendeva i lavori in campagna e nella sua bottega di fabbro per dedicarsi alla costruzione delle mongolfiere.
Per prima cosa si recava a Vallecrosia dalla cartoleria Pellegrino per l'acquisto di quella carta dalle molteplici tinte, così sottile, apparentemente fragile e gradevolmente liscia al tatto. Poi veniva rivoluzionata la disposizione dei mobili in casa per far posto al tavolo della cucina accanto a quello in sala in modo da ottenere una più ampia superficie di lavoro.
Scelti i colori, i fogli di carta venivano ben distesi a gruppi di dieci sui tavoli e ricoperti con estrema cura dalle sèste (i modelli in carta di giornale)(2). Queste erano disposte in modo da evitare il più possibile gli sprechi ed erano bloccate nella posizione voluta con dei pesi piuttosto eterogenei: una tazza, una statuina, un posacenere mai utilizzato ... oggetti pesanti ma privi di pericolosi spigoli per non rischiare danni ai fogli sottostanti. Con le forbici, seguendo il contorno delle sèste e spostando delicatamente i pesi, nascevano i cinque componenti di ogni striscia, che in numero di dieci avrebbero formato la mongolfiera.
Mongolfiera: questo termine non era mai usato da mio padre, quelli erano i balui a vèntu. La massima concessione linguistica, che dopo tanti anni ho trovato scritta sull'involucro in cui aveva avvolto le preziose "sèste" è stata "carta e seste per palloni aerostatici".
Mentre sul fornello della cucina, in un pentolino, venivano disciolte nell'acqua le scaglie di gomma arabica(3) per preparare la colla, con mia sorella ci contendevamo quei piccoli ritagli di carta multicolore che giacevano inutilizzati. Oltre alla colla anche i pennelli erano fabbricati in casa, ottenuti ripiegando una piccola striscia di lamierino zincato sopra un ciuffo di peli tratti dalla criniera o dalla coda del mulo.
Incollando e sovrapponendo per poco più di un centimetro le cinque diverse parti precedentemente ritagliate, prendevano forma delle lunghe strisce che rassomigliavano agli spicchi di una enorme arancia. Mano a mano che questi venivano ultimati andavano ad occupare tutte le sedie a tale scopo requisite. Le strisce così incollate, messe a penzoloni sulle spalliere delle sedie, dovevano essere lasciate ad essiccare bene prima di procedere al loro definitivo assemblaggio.
Per la giunzione degli "spicchi" erano richiesti i due tavoli uniti in modo da disporre della necessaria lunghezza: questa operazione era una specie di origami, perché gli spicchi non erano semplicemente incollati sovrapponendoli, ma dovevano essere ripiegati longitudinalmente ed uniti piegando un piccolo lembo della striscia sottostante. Il primo spicchio disteso sul tavolo era lasciato aperto, i quattro successivi ripiegati ed incollati a sinistra, altri quattro ripiegati ed incollati a destra, infine l'ultimo veniva disteso sopra e unito dalle due parti a chiusura della mongolfiera. Con questo sistema si ottimizzava la piegatura per il trasporto, si facilitava l'apertura e si riusciva a far assumere alla mongolfiera, una volta gonfiata, una bella forma sferica senza grinze.
I tre balui a vèntu così preparati per essere completati necessitavano ancora di un aggancio fatto con un'ansa di circa 10 centimetri di spago robusto ben legato sulle punte. Ricordo con quale cura ed attenzione mio padre realizzava questo piccolo dettaglio: prima proteggeva le punte avvolgendole con una strisciolina di carta, poi con uno spezzone di spago lungo poco più di un palmo, eseguiva in centro la legatura "cun in grupu ch'u stregne"(4), unendo infine le estremità per formare l'ansa "cun in grupu cianèlu"(5). In ultimo, in basso sulla bocca di apertura, ripiegando i lembi della carta, incollava un cerchio di filo di ferro di circa ½ metro di diametro che sosteneva in centro un piccolo cestello, sempre ottenuto con del filo di ferro ma di sezione inferiore; questo serviva a contenere un batuffolo di cotone impregnato di alcool che una volta acceso avrebbe dato autonomia al volo della mongolfiera.
Anche la fabbricazione dei cerchi in filo di ferro richiedeva tempo e perizia, ma questi erano preparati prima, nell'officina sottostante all'abitazione, e non creavano scompiglio né in sala né in cucina.
Il giorno della festa tutto era pronto e sin dal mattino trasportato sul posto. Solitamente avevamo a pranzo parenti ed amici e nel pomeriggio risalivamo insieme la ripida mulattiera che univa la strada provinciale al Santuario.
Giunti al momento del lancio si assisteva ad una regia ben collaudata nel corso degli anni: una lunga scala veniva appoggiata sul bordo della copertura del sagrato, di fronte si allineavano i componenti della banda musicale mentre due semicerchi di spettatori si accalcavano ai lati controllati dallo sguardo severo di mio padre per ottenere un certo spazio di manovra.
Sulla scala saliva Vitò U Cantunè, Amalberti Vittorio (1914-1996), di professione cantoniere, cugino primo di mio padre. Vitò armato di una lunga pertica con un chiodo trasversale in punta, aveva un compito delicatissimo: sostenere la mongolfiera attraverso il predisposto aggancio, accompagnare le operazioni di riempimento dell'aria calda ed al momento opportuno, secondo le indicazioni ricevute, liberare rapidamente il sostegno.
Inizialmente la mongolfiera penzolava floscia sopra un piccolo fuoco preparato a terra con cotone ed alcool, mentre mio padre aiutava i lunghi spicchi a dipanarsi pizzicando qua e là la carta. Intanto si assisteva al rigonfiamento e nel silenzio dell'attesa si poteva udire il rumore della carta che si tendeva per l'apporto dell'aria calda dal basso. Quando la mongolfiera aveva assunto la sua bella forma tondeggiante, il fuoco veniva appiccato anche al batuffolo di cotone posto nel cestello e mio padre saggiava la capacità di sollevamento rilasciando per brevi istanti le estremità del cerchio trattenuto con le mani. La mongolfiera fremeva e mio padre con essa. Quando avvertiva che era arrivato il momento giusto esclamava "u porta!"(6) e, rivolgendosi a Vitò gli ordinava "mola!"(7), era questo il segnale di sgancio.
Con le braccia alzate "u balun a vèntu" veniva accompagnato e rilasciato verso una traiettoria libera da ostacoli. Finalmente si innalzava, seguito con trepidazione nei primi metri di percorso perché qualche colpo di vento poteva provocarne il ribaltamento e l'incendio.
La tensione che aveva preceduto il lancio si scioglieva sotto uno scroscio di applausi, mentre la banda intonava una trionfale marcia. Tutti gli sguardi seguivano "u balun" sino a quando, diventato un piccolo puntino trasportato dalla brezza del pomeriggio estivo, si confondeva nel cielo. Sul volto di mio padre le emozioni si susseguivano più stemperate nei due successivi lanci, specialmente se tutto andava per il verso giusto. Io, con fierezza, ne seguivo le azioni.
Non sono a conoscenza di come mio padre abbia iniziato ad interessarsi alla costruzione delle mongolfiere di carta. Forse avendone ritrovato una dopo un lancio avvenuto in qualche paese dei dintorni; comunque i suoi interessi spaziavano, per quei tempi, in molte direzioni. Aveva una spiccata predisposizione per le attività ludiche, una grande manualità, un estro artistico ed una mente aperta alle innovazioni tecnologiche: animatore e musicista nella banda musicale, costruttore di fuochi d'artificio per spettacoli pirotecnici, pregevole esecutore del ferro battuto e tutta una serie di mestieri che le necessità della vita di un tempo imponevano (contadino, muratore, fabbro, maniscalco ...).
Nel 1924, all'età di 17 anni, disegna le sue prime "sèste" ed inizia a costruire i "balui a vèntu". Prima della seconda guerra mondiale, oltre alla già citata festa al Santuario del Carmine, le sue mongolfiere rallegravano le feste del paese in diversi momenti dell'anno: per San Luigi (21 giugno), San Bernardo (20 agosto), ... curiosamente non durante la festa patronale (24 giugno) di San Giovanni Battista (forse perché mancavano i priori).
Un "campanilistico" aneddoto mi è stato raccontato da alcuni "giovani" del paese: Amalberti Remigio (classe 1935), Amalberti Fernando (classe 1938), Anfosso Elviro (classe 1940), che ricordavano come nel 1950, in occasione dei festeggiamenti per l'acquisto della nuova statua lignea di San Bernardo (ad opera di persone con il nome del Santo), l'incarico di eseguire il lancio dei "balui" invece che a mio padre venne affidato a un certo Bernà U Silüru, del vicino paese di San Biagio della Cima, con un risultato piuttosto deludente. Infatti su sei piccole mongolfiere solo una riuscì a sollevarsi oltre il campanile della piazza per poi afflosciarsi e ricadere anch'essa bruciata. Tutto questo avveniva sotto lo sguardo divertito e sarcastico del pubblico che tifava contro (a quei tempi la rivalità tra paesi vicini era molto accesa) e la frase ricorrente era: "I Bernardi i an vusciu risparmià!"(8).
Nel centro del paese i lanci erano effettuati accanto alla scalinata esterna (oggi non più visibile) che conduceva agli uffici della ex-sede comunale in Piazza San Giovanni Battista. Era questa un'ottima posizione per sostenere "i balui" prima del lancio. Penso che sia stata proprio questa considerazione ad aver suscitato in mio padre il desiderio di costruire mongolfiere di dimensioni più grandi. Infatti nel gennaio del 1931 calcola e disegna nuove "sèste" per dei "balui a vèntu" della circonferenza di circa 7,50 metri, composti da 12 spicchi di 6 elementi ciascuno. Questi balui dispiegati erano lunghi 4 metri e una volta gonfiati presentavano un diametro di più di 2 metri con una altezza di circa 2,80 metri. Ma questa nuova mongolfiera risultò particolarmente difficile da gestire: in una sfortunata occasione, il ritardato rilascio dalla pertica di sostegno, la notevole forza ascensionale e l'imminente strappo del cerchio di ferro ne provocarono la distruzione in fase di partenza. Inoltre essa non era economicamente conveniente. Per questo mio padre decise di ritornare alle primitive dimensioni dopo avervi apportato qualche piccola modifica: su una delle vecchie sèste dell'epoca ho trovato una annotazione: "restregnere e accorciare"(9).
A parte qualche diversificazione in particolari occasioni, i balui venivano normalmente preparati (come documentano le foto allegate) con 10 spicchi da 5 elementi e gonfiati si presentavano con un diametro di 1,60 metri ed una altezza di 2 metri.
Poi, nel 1958 nuovi calcoli, nuove sèste, per una mongolfiera di piccole dimensioni: 10 spicchi da 3 elementi con un diametro di poco più di 1 metro per una altezza di circa 1,50 metri. E' il regalo di mio padre per i miei 10 anni: costruisco la mia prima mongolfiera!
A luglio, alla Madonna del Carmine, il debutto. Sotto la sua attenta regia ripeto quei gesti già visti e scolpiti nella mente, anch'io ordino di sganciare (mola!)... sposto la mia piccola mongolfiera lateralmente, forse un po' troppo velocemente... s'inclina... si raddrizza subito, la rilascio... seguo con ansia i primi metri. Un leggero vento la sospinge verso i rami di un albero, passa indenne, si innalza inseguita dalle allegre note musicali della banda.
Ancora oggi, parlandone, rivivo con emozione quel momento.
Mio padre continuò i lanci sino al 1972. Negli ultimi anni fui io a sostituire Vitò sulla scala con la pertica in mano, per sostenere i balui durante le operazioni di rigonfiamento con l'aria calda.
Le condizioni della festa al Santuario erano sensibilmente mutate: in seguito all'apertura della strada carreggiabile molte vetture erano parcheggiate intorno. Ecco così crescere in mio padre la preoccupazione che, nella malaugurata ipotesi di un incendio delle mongolfiere sopra i parcheggi, potesse verificarsi qualche incidente. A tale proposito il pericolo avrebbe potuto sussistere solo in caso di forte vento e durante i primi minuti di ascesa, perché la fiamma appiccata al batuffolo di cotone posto nel cestello si estingueva. Ricordo qualche raro incendio, ma la carta si era volatilizzata in alto, mentre il cerchio di ferro con la sua veloce caduta era arrivato a terra spento.
Forse auspicando un ritorno alla tradizione, nell'estate del 1979 mio padre costruisce il suo ultimo balun a vèntu con in fondo il cerchio di ferro senza il consueto cestello, escogitando un prolungamento per imprigionare l'aria calda fornita esternamente (la foto a colori che segue documenta tale idea).
Conservo con cura questo balun e le diverse sèste perché sono molto più di un ricordo di un tempo passato, testimoniano non solo l'ingegnosità, ma anche la semplicità... racchiusa nell'idea che si possa far sognare un intero paese.
Con solo qualche foglio di carta variopinta.
 
Mauro Maccario
 
Ringraziamenti
Il disegno di mio padre, data la mancanza di foto, è opera di mio nipote, Luca Erbetta, mirabile artista, che ha saputo tratteggiare il nonno in modo efficace e realistico.
Le foto allegate sono dovute alla cortesia di Remigio Amalberti (fotografo storico del paese), ad Agnese Amalberti (figlia di Vitò U Cantunè) ed alla personale collezione.


 
(1) Conferimento dell'incarico "di realizzare le mongolfiere in occasione della festa della Madonna del Carmine".
 
(2) Il termine "sesta" deriva dall'apertura del compasso che oltre a descrivere una circonferenza corrisponde al lato dell'esagono inscritto, indica la costruzione di un modello per produrre più copie, i modelli erano realizzati in genere con fogli di carta di giornale per la disponibilità delle dimensioni e per economia.
 
(3) Resina naturale, ricavata da alcune piante di acacia di origine esotica, era venduta sotto forma di scaglie o palline ambrate, la colla era ottenuta diluendole in due parti di acqua.
 
(4) "con un nodo che blocchi bene" (in termine marinaresco era l'esecuzione di un nodo parlato).
 
(5) "con un nodo piano" (una volta si diceva che chi non era in grado di realizzare un nodo piano non poteva sposarsi, perché era la dimestichezza con questo nodo che consentiva di bloccare il carico sul dorso di un mulo, animale allora indispensabile alle attività lavorative famigliari).
 
(6) Tende a sollevarsi, si sorregge.
 
(7) Rilascia, sgancia il sostegno.
 
(8) "il comitato dei Bernardi ha voluto risparmiare".
 
(9) Ridurre ed accorciare.